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Legislatura 15 Atto di Sindacato Ispettivo n° 3-00291

Atto n. 3-00291

Pubblicato il 12 dicembre 2006
Seduta n. 83

MARTONE , RUSSO SPENA , DEL ROIO , NARDINI , CONFALONIERI , CAPELLI , GAGLIARDI , SODANO , ALBONETTI , BONADONNA , ALLOCCA , BRISCA MENAPACE , VALPIANA -

Ai Ministri degli affari esteri e della giustizia. -

 

Premesso che, per quanto risulta agli interroganti:

Abu Elkassim Britel, nato il 18 aprile del 1967 a Casablanca, a 22 anni è emigrato in Italia, a Bergamo, dove ha lavorato come operaio. Dal 1999 è cittadino italiano;

la Questura di Bergamo nel 2000 aprì su Britel un fascicolo, avviando indagini su presunte finalità terroristiche, in quanto in casa del fratello di Abou sarebbe passato un sospetto responsabile di una cellula terroristica in Italia. Il 3 luglio del 2001, alla vigilia del G8 di Genova, la casa di Abou e Khadija venne perquisita dalla polizia;

lo stesso anno il Corriere della sera pubblicò la notizia del ritrovamento del numero telefonico di casa di Britel, a Kabul, in un campo di addestramento talebano, denunciando che lo stesso aveva fatto perdere le sue tracce;

Abou Elkassim Britel venne indagato dalla magistratura per presunta partecipazione all'organizzazione terroristica islamica Al Qaida avente come scopo il compimento di atti di violenza, commessi a Bergamo;

per il procedimento italiano Britel è sempre rimasto a piede libero, non vi sono state né misure cautelari personali, né misure cautelari reali. Secondo l'avvocato c'è stato anche un problema con la stampa, tanto da obbligare la difesa ad aprire un contenzioso per la pubblicazione di alcune notizie ritenute false;

nel giugno del 2001 con regolare passaporto italiano Britel si recò in Pakistan, per ragioni di studio e di lavoro. Qui lo stesso venne fermato il 10 maggio del 2002 a Lahore, per un controllo da parte dei pakistani i quali gli contestarono il possesso di un passaporto italiano falso e l'appartenenza a gruppi terroristici, anche in base alle segnalazioni della Polizia italiana;

Britel venne trasferito il 5 maggio del 2002 ad Islamabad dove venne portato per 4 volte in una villa dove si sarebbero presentati davanti a lui degli americani che lo avrebbero minacciato e gli avrebbero fatto domande sulla sua appartenenza a gruppi terroristici, soprattutto chiedendo collaborazione per una supposta guerra al terrorismo in Italia;

nella notte tra il 24 e il 25 maggio del 2002 Britel con un aereo della Cia con identificativo N379P, come risulta dalle indagini del Parlamento europeo sulle special renditions, venne trasportato insieme ad altri dal Pakistan in Marocco dove fu prelevato dalla Dst, i servizi segreti marocchini, e trasferito nel carcere di Temara;

per otto mesi e mezzo Britel rimane in un luogo dove non erano garantiti i diritti più elementari e fondamentali della persona, fu torturato, non fu comunicato ai familiari l'avvenuto arresto e gli fu assolutamente impedito di parlare con qualunque avvocato;

un rapporto dalla Federazione internazionale dei diritti umani sulle torture nelle carceri marocchine denunciò già nel 2004 il caso Britel, ricordando che è cittadino italiano e che è stato trasferito in segreto e torturato fino all'11 febbraio 2003 quando, senza alcuna spiegazione e senza alcuna accusa formale, fu improvvisamente liberato;

a maggio del 2003 Britel e la moglie, che è cittadina italiana, che nel frattempo lo aveva raggiunto in Marocco, si prepararono a lasciare il Paese con un documento provvisorio rilasciato dall'Ambasciata italiana, in quanto il passaporto ritenuto falso era stato sequestrato dai pakistani;

il 15 maggio 2003 Britel si apprestò a varcare la frontiera terrestre tra il Marocco e la città spagnola di Melilla, ma fu arrestato al momento del passaggio del confine;

invano la moglie e il suo avvocato cercarono notizie tramite la Polizia, che a quanto risulta sarebbe stata a conoscenza dei fatti. Risulterebbe difatti che l'Ufficio della Digos di Brescia abbia ricevuto il 22 maggio 2003 una comunicazione dalla Direzione centrale di Polizia di prevenzione (Cat. A1/2003/digos) nella quale i servizi segreti marocchini segnalavano che il signor Abu Elkassim Britel era stato fermato al confine con Melilla perché in passato indicato quale frequentatore di un campo militare in Afghanistan. Inoltre nonostante non ci fossero elementi tali da sostenere il coinvolgimento del Britel nell'attentato di Casablanca, si starebbe comunque sottoponendo il medesimo ad interrogatorio;

solo il 10 di settembre 2003 giunse alla moglie e all'avvocato la notizia che Abu era stato arrestato. Il 16 settembre del 2003, Britel, rinchiuso nella prigione di Salè, fu sottoposto a processo per banda armata e terrorismo. I quattro mesi nel carcere di Tèmara e i duri interrogatori lo portarono ad una confessione. Il processo fu molto veloce: il 3 ottobre 2003 Britel fu condannato a 15 anni di carcere. In appello, il 7 gennaio 2004, la pena fu ridotta a nove anni;

secondo il suo avvocato difensore, Britel è stato giudicato e condannato dalla magistratura marocchina, sostanzialmente, per reati di opinione e reati associativi. Non vi sono contestazioni precise che vengano svolte ai danni di Britel e l'avvocato marocchino che lo assistiva non ha potuto avere copia di nessun atto di indagine, né comprovare sia la prima che la seconda carcerazione segreta;

il 29 settembre 2006 il gip presso il tribunale di Brescia, accogliendo la richiesta del pubblico ministero per «totale insussistenza di elementi di accusa processualmente utilizzabili, che consentano di affermare che gli indagati abbiano partecipato ad un'organizzazione terroristica islamica», ha archiviato il caso;

Abou Elkassim Britel si trova tuttora detenuto nella prigione di Ain Burja, Casablanca, Marocco, dove sta scontando la sentenza a nove anni di carcere,

si chiede di sapere:

come il Governo intenda procedere, attivando i canali bilaterali con il Regno del Marocco, perché il cittadino italiano Abu Elkassim Britel venga immediatamente rilasciato, ovvero riceva grazia reale dal Sovrano del Marocco, Mohammed VI;

se non si intenda aprire un'indagine interna al Ministero dell'interno per verificare la catena di comando e la procedura in base alla quale un cittadino italiano, incensurato, possa essere per cinque anni oggetto di indagine e subire, con piena conoscenza delle autorità giudiziarie e di polizia, simili privazioni della libertà personale e violazioni dei diritti umani;

se non si intenda chiarire le competenze tra i vari servizi di intelligence e di polizia in merito alle attribuzioni per ciò che riguarda i rapporti con polizie e servizi di intelligence stranieri;

se si abbia intenzione di chiarire, con indagine interna al Ministero della giustizia come sia potuto accadere che un procedimento formalmente tanto rilevante sia rimasto per cinque anni negli uffici giudiziari, anche in fase di indagine preliminare.